Quasi un mese fa sulle coste ravennati sbarcavano 113 migranti dell’Ocean Viking, fuggiti dalla Costa d’Avorio, dalla Nigeria e dal Camerun. Attorno a loro, una grande rete umana di volontari, operatori sociali, sanitari e autorità pronte ad accogliergli. Pronte a offrire loro protezione, parole di conforto, un pasto, coperte calde, tanti sorrisi e momenti di gioco per i più piccoli. A Ravenna il percorso di conoscenza di uno spazio fino ad allora inesplorato, quello dell’immigrazione, inizia nel 1998 con un convegno organizzato da Cgil, Caritas e Coop. Il Mappamondo all’Hotel Mokadoro. Venticinque lunghi anni ripercorsi dalla mostra fotografica e documentale “25 anni dall’erranza del migrare” curata da Maurizio Masotti, presidente di Tracce Migranti ODV, e visitabile fino al 27 gennaio alla Biblioteca Oriani. È un archivio fotografico che racconta tante storie. Quelle di persone come noi, tuttavia costrette a lasciare la propria terra in cerca di nuove opportunità. O nella maggior parte dei casi, per tentare di sopravvivere. In questa mostra il curatore cerca di rappresentare come sono cambiate, in rapporto all’immigrazione, le nostre generazioni, il nostro modo di pensare e di agire, la società nazionale e quella locale, i nostri bisogni e così quelli dei migranti e delle loro famiglie sul territorio. Nato a Mezzano, Masotti ha insegnato la lingua italiana agli stranieri, organizzando anche stages per corsisti di varie nazionalità in aziende agrituristiche della Toscana. Ha lavorato a progetti di ricerca in Emilia-Romagna in collaborazione con le amministrazioni del territorio, i sindacati, il mondo cooperativo e le università e curato mostre e volumi fotografici in Italia e all’estero, sempre trattando il tema dell’immigrazione. Dal 2020 è presidente di Tracce Migranti ODV, organizzazione di volontariato che si occupa di immigrazione a vari livelli.
Maurizio Masotti, i numeri dell’immigrazione sono in aumento anche sul nostro territorio. Oggi, a suo avviso, è cambiato qualcosa nelle relazioni tra stranieri e cittadini?
Il mio amico fotografo, Luciano Nadalini, che è intervenuto all’inaugurazione della mostra, raccontava che a suo parere non è cambiato nulla da quando ha scattato le prime foto nel 2000 ai bambini della scuola Iqbal Masih di Lido Adriano. Condivido la sua opinione. A Luciano mi lega da anni un rapporto di stima e solidarietà e con lui ho curato mostre itineranti in Italia e Europa. Purtroppo, esistono ancora separazioni tra la popolazione locale e i “nuovi arrivati”. Gli stranieri nel nostro Paese, aspettano, in realtà, di uscire dal limbo giuridico in cui sono rinchiusi da decenni in una terra di nessuno, per colpa dell’ignavia politica ed elettorale del Parlamento italiano. Questa è la prima di una serie di anomalie che riscontriamo quando parliamo seriamente di immigrazione, in presenza di un inverno demografico nel nostro Paese (vedi stime Onu per i prossimi decenni) che potrebbe essere alleviato attuando poche e semplici leggi. Ma non penso sia nelle intenzioni del nostro Parlamento, come non lo è stato in passato.
Ravenna dal suo punto di vista come vive il dialogo interculturale, vista anche l’ultima esperienza dei migranti dell’Ocean Viking?
Penso che siamo ancora agli inizi: ho visto e continuo a vedere nei Paesi in cui ho vissuto in Europa un atteggiamento positivamente pragmatico rispetto alle diverse nazionalità. Qui nel Belpaese si tende a privilegiare le religioni monoteistiche e ognuno tende a restare nel proprio orticello, con poche possibilità e volontà di contaminazione.
Quanto conta riuscire a fare rete tra le associazioni ed enti, anche di diverse religioni, per aiutare chi arriva nelle nostre città?
Conta tantissimo, anzi deve essere la priorità di queste realtà. Soltanto collaborando insieme si possono vincere le sfide e raggiungere certi obiettivi. Nella nostra associazione, Tracce Migranti ODV, abbiamo approfondito il tema della povertà con l’aiuto della Caritas. Negli ultimi anni la Caritas diocesana Ravenna-Cervia si occupa meritoriamente di questo grande problema sociale, che tocca fasce di popolazione sempre più numerose. Quando abitavo a Roma, ho collaborato anche con la Caritas nazionale e la Cgil per promuovere alcune campagne di sensibilizzazione e mostre fotografiche sull’immigrazione. Poi con gli amici di Idos abbiamo presentato il Dossier, a livello nazionale e nella nostra Regione.
Cosa cerca di comunicare con i suoi scatti? C’è una foto, un’esperienza, un volto a cui è particolarmente legato?
Di tutte le immagini che mi sono rimaste in mente, ricordo quelle scattate dal gruppo di rifugiati di “My Journey” al Migrant Resource Centre di Londra, subito prima della Brexit. Avevamo dato loro macchine con pellicola da sviluppare in camera oscura, cosa che mi aveva riportato ai tempi dei miei anni universitari a Bologna. Poi sempre a Londra, abbiamo organizzato una mostra nell’East End. Ultimamente ho rivisto le foto scattate da Luciano Nadalini in giro per il mondo nelle aree critiche. Luciano sta lavorando a un nuovo reportage fotografico in Bosnia, dopo il primo fatto 30 anni fa. È un progetto che ho molto a cuore. Sono stato a Sarajevo alcuni anni fa e ricordo ancora le immagini della città distrutta. Immagini che temo potremmo rivedere molto presto.
Erika Digiacomo
Risveglio Duemila - Settimanale Cattolico di Informazione
(risveglioduemila.it)
Foto: credits Maurizio Masotti