Le attività si svolgono anche nel territorio di Cassano all’Ionio e le stesse sono cominciate nel mese di aprile 2020 a seguito della rivolta di circa 40 lavoratori provenienti dall’Africa Subsahariana nei confronti dei loro caporali; nel mese di giugno si è reso necessario sistematizzare la presenza degli operatori sul territorio, attivando uno sportello dedicato a far fronte ai bisogni di tipo legale e amministrativo-burocratico della popolazione migrante. Sono risultati chiaramente i motivi della protesta dettata dal malcontento dei lavoratori avverso l’affinato sistema di sfruttamento esercitato da alcuni cittadini pakistani che organizzano le attività lavorative, attraverso il reclutamento, il trasporto e il pagamento della manodopera per conto di alcune aziende agricole della zona, e gestiscono le abitazioni private nelle quali vivono in condizioni di forte disagio gli stessi lavoratori. All’interno di questo sistema di sfruttamento lavorativo e abitativo, i caporali fanno lavorare prevalentemente i lavoratori che vivono nelle loro abitazioni, occupandosi dei trasporti presso i luoghi di lavoro e pagando con cifre differenziate tra i 23 e i 27 euro le giornate lavorative svolte quasi sempre in nero e a volte con contratti. Rilevante è stato il valore di collaborazione avviato con gli altri soggetti territoriali e sono state create le condizioni per la futura stipula di un possibile protocollo operativo territoriale interistituzionale di tipo multi-agenzia e multilivello tra le Forze dell’Ordine, il Comune, la CGIL, la Caritas.
Gli sportelli della piana di Sibari hanno incontrato complessivamente 242 persone (94 su Cassano all’Ionio e 148 su Corigliano – Rossano) di diversa nazionalità, inviati da altri servizi o informati tramite passaparola.
Sono estremamente variegate le richieste di aiuto che pervengono allo sportello: i bisogni sono di tipo sanitario, sociale, legale, abitativo. Si è deciso di dare un taglio specifico allo sportello rispondendo prevalentemente ai bisogni di tipo amministrativo-legale e rimandando, laddove possibile, le diverse richieste alle altre associazioni operanti sul territorio.
La maggior parte delle persone incontrate lavora nell’agricoltura, che risulta essere il settore prevalente in cui è impiegata la manodopera migrante. Ben 50 persone lavorano senza alcun contratto, in condizioni di sfruttamento. Si tratta, in particolare, delle persone che risiedono nella tendopoli o che dormono all’addiaccio sulla spiaggia.
Le rotte agricole dello sfruttamento e i movimenti in tempo di pandemia
Gli spostamenti dei lavoratori seguono le rotte agricole: provenienti da Foggia, da Aversa e da altri territori, in cui sono stati occupati in stagioni di raccolta di altri prodotti (pomodori, ecc.), si spostano a fine stagione agrumicola in Sicilia o altrove per proseguire nella circolarità extraregionale.
In generale e confrontando l’esperienza dei colloqui con i dati degli altri anni, è emerso che è in corso un possibile processo tendente alla diminuzione del numero degli arrivi dall’Europa dell’Est, che prediligerebbero altri paesi come per esempio la Germania e anche a causa della chiusura delle frontiere per la pandemia.
Dai colloqui effettuati, sembrerebbe che la paga sia aumentata arrivando in alcuni casi ai 35/40 € ai quali però sono sottratti dai caporali fino a 10 euro per il trasporto nei luoghi di lavoro. Per quanto riguarda la raccolta dei mandarini la stessa può essere caratterizzata dal sistema di pagamento a cottimo; sembrerebbe che una cassetta di mandarini sia pagata 1,20 €.
La metà dei lavoratori extracomunitari che si sono rivolti a noi non ha un permesso di soggiorno. Si tratta di braccianti nord africani che vivono nella tendopoli e Sub–Sahariani che avevano intrapreso il canale dell’asilo ma che, dopo i dinieghi nei diversi gradi di giudizio, dovuti soprattutto ai decreti Salvini, si sono ritrovati in una situazione di irregolarità.
Attraverso le diverse attività è stato possibile rilevare come la Piana di Sibari sia un territorio di significativa mobilità in entrata e in uscita da parte dei lavoratori: vi sono sia migranti che arrivano da altri posti e si riversano nella zona per lavorare, sia migranti che abitano nelle zone della Piana e si spostano altrove per essere impiegati nei campi; altrettanto significativa è la circolarità regionale ed extraregionale dei braccianti, in particolare sub-sahariani, che seguono le tipiche rotte stagionali agricole. Le caratteristiche e le dinamiche del fenomeno si espletano in maniera variegata a seconda dei diversi territori osservati e ciò fa di questa Piana un complesso multiforme di territori nei quali è articolata tutta la filiera possibile dello sfruttamento: dal lavoro sommerso, presente quasi in forma endemica, allo sfruttamento, talvolta esercitato nelle sue forme più gravi, e finanche alla tratta di esseri umani.
Tutti questi movimenti di persone anche in tempo di pandemia si svolge senza il monitoraggio delle autorità preposte alla salvaguardia della salute. In una tale situazione risulta impossibile anche solo ipotizzare la tracciabilità dei contatti e pensare a misure di prevenzione dei contagi in questa massa di gente in movimento.
La situazione nella Piana Lametina
L’Unità di contatto ha osservato le presenze dei lavoratori nelle prime ore della mattina nei soliti luoghi di reclutamento ricompresi tra Via Del Progresso di Lamezia Terme e Feroleto Antico e ha rilevato che un cospicuo numero di queste persone era stato precedentemente a San Ferdinando.
Nella parte tirrenica - che sconfina nella zona di Amantea persiste il fenomeno dello sfruttamento lavorativo riguardante particolarmente la folta comunità bengalese impiegata nella produzione della cipolla. Si tratta di lavoratori che vivono in case private spesso sovraffollate o all’interno dei pochi CAS rimasti funzionanti. Il fenomeno dello sfruttamento lavorativo osservato è in evoluzione nel senso che, seppur la retribuzione giornaliera rimanga sempre fissata al valore di 30 euro e le giornate continuino a non essere interamente riconosciute in busta paga, si registra un aumento del numero di lavoratori che riesce ad accedere alla previdenza sociale. Tale circostanza è probabilmente da ricondurre sia al tentativo dei datori di lavoro di ridurre i rischi di essere sanzionati, riducendo anche il malcontento della propria manodopera in relazione all’abbassamento del livello di sfruttamento, sia a una maggiore consapevolezza e autodeterminazione che i lavoratori stanno gradualmente acquisendo sui propri diritti: si sono verificati casi nei quali i lavoratori hanno pressato i propri datori di lavoro per vedersi riconosciuto in busta paga un numero di giornate quantomeno utile per accedere alla previdenza.
Nella Piana permangono le situazioni di grave sfruttamento lavorativo, caratterizzate da impiego di manodopera senza contratto di lavoro, da orari di impiego per oltre 12 ore al giorno (anche in orari notturni) e retribuzioni notevolmente sproporzionate alla quantità e qualità del lavoro prestato, da minacce e violenza. Per quanto riguarda l’attività di intermediazione, circa il reclutamento e il trasporto della forza lavoro, la stessa è in evoluzione e più difficile da cogliere: i casi di trattenimento giornaliero della retribuzione dei lavoratori da parte degli intermediari sono diminuiti e lo sfruttamento avviene in forme più subdole e sfuggenti (per esempio con regalie sia agli intermediari che ai loro amici, pagando un “salario di ingresso”, pari al primo e a volte anche al secondo mese di retribuzione). Ci sono alcune aziende che provvedono direttamente (attraverso un proprio dipendente e un proprio mezzo) al trasporto dei propri lavoratori, sottraendo agli stessi circa 5 euro per lo spostamento di andata e ritorno dal luogo di reclutamento a quello di impiego; in altri casi, soprattutto per quelli nei quali il trasporto parte dal luogo di reclutamento lametino (Piazza D’Armi, Piazza Fiorentino, Bella, ecc.), lo spostamento è effettuato da mezzi di proprietà di lavoratori marocchini (nelle vesti di capi-squadra) condotti da lavoratori sub-sahariani e anche in tale modalità il costo del trasporto è di 5 euro che ogni lavoratore trasportato, ad eccezione del conducente che percepisce 35 euro giornaliere, paga al capo-squadra proprietario del veicolo.
Anche nel Lametino è difficile garantire la protezione dei braccianti. Mancano per esempio guanti da lavoro, mascherine, azioni di prevenzione attiva contro il Virus. Perciò abbiamo iniziato subito a distribuire mascherine chirurgiche e ad informare sulle misure di protezione da adottare.
Una sanatoria pandemica
Le unità operanti nelle piane, dal primo giugno 2020 al 15 agosto 2020 sono state molto impegnate nel lavoro di informazione/consulenza in merito alla sanatoria in atto, nonché nel supporto nella presentazione delle pratiche.
La sanatoria 2020 non si rivelata per quella che era la tanto attesa occasione di raggiungere l’obiettivo di emersione di situazioni di irregolarità o lavoro nero. La ratio dell’emersione a fondamento del dispositivo stesso, rispetto alla quale i datori di lavoro avrebbero potuto sanare attraverso una sorta di auto-denuncia le situazioni di irregolarità presenti, non è stata riscontrata in nessuno dei casi seguiti. Si è trattato in generale di un canale “aperto” ai cittadini extracomunitari, per regolarizzare o rendere maggiormente stabili le loro posizioni di soggiorno. I limiti del dispositivo erano stati chiari sin dall’inizio, avuto riguardo a una serie di aspetti: per quanto riguarda il 2° canale (art.103, 2° comma D.L. 34/2020), quello che poteva essere attivato direttamente dai lavoratori, in particolare, la confusione data dalla finestra temporale nella quale doveva ricadere la scadenza del permesso di soggiorno e la ristrettezza dei settori lavorativi rispetto ai quali i lavoratori dovevano recuperare le prove d’impiego pregresso; per quanto riguarda il 1° canale (art.103, 1° comma D.L. 34/2020), quello che poteva essere attivato dai datori di lavoro, in particolare, l’incertezza sul rapporto tra il contratto di lavoro in essere, ove sussistente, e quello oggetto della sanatoria, nonché la richiesta di un fatturato eccessivo per le aziende agricole, a fronte di un settore produttivo locale caratterizzato prevalentemente da piccole e modeste realtà imprenditoriali. Anche per tale ragione è stato riscontrato come diversi datori di lavoro agricoli, per permettere l’accesso alla sanatoria di alcuni propri dipendenti, abbiano optato per impegnarsi nella stipula di contratti di lavoro in ambito domestico e di cura alla persona i cui requisiti (in particolare i livelli minimi reddituali del datore di lavoro) previsti erano meno stringenti rispetto a quelli caratterizzanti il settore agricolo. È per tale situazione che diversi braccianti, pur continuando ad essere impiegati in agricoltura, accederanno (perché ancora non è chiaro l’esito delle procedure avviate, stante il significativo ritardo delle convocazioni da parte delle Prefetture) alla sanatoria tramite contratti di lavoro domestico part-time.
Sono stati proprio i lavoratori a subire le conseguenze negative di tali nodi in termini di informazioni scorrette ricevute e di pratiche sbagliate avviate da parte di avvocati e commercialisti non specializzati nel settore o comunque improvvisatisi nella tematica ad oggetto, nonché di accesso fluido e chiaro alla procedura. Nel caso del 1° canale, nella maggioranza dei casi, sono stati di fatto i lavoratori stessi a pagare l’accesso alla sanatoria, consegnando subito i propri risparmi ai datori di lavoro o impegnandosi a pagare successivamente la somma prevista attraverso una decurtazione progressiva dallo stipendio che avrebbero ricevuto dall’attività lavorativa oggetto della pratica. Nel caso del 2° canale, sono state registrate criticità anche rispetto agli Uffici addetti, in particolare presso alcuni Uffici postali che in alcune circostanze non hanno permesso la presentazione dei c.d. kit da parte dei lavoratori. In alcune situazioni, anche per la giustificabile ansia di trovare la tanto attesa regolarizzazione, alcuni lavoratori hanno attivato contemporaneamente entrambi i canali procedurali previsti. In generale, sono stati rilevati problemi riguardanti la possibilità di accedere al Servizio Sanitario Nazionale, di stipulare contratti locazione, di aprire conti correnti per le resistenze da parte degli Uffici addetti nel riconoscere la validità dei permessi di soggiorno provvisori dell’emersione e delle ricevute di presentazione delle istanze alla Prefettura.
Un altro aspetto non meno rilevante è dato dalle truffe o comunque dai costi ingenti che i lavoratori hanno subito e affrontato da parte di chi, approfittandosi del loro stato di bisogno, ha visto nella sanatoria un vero e proprio affare economico. Interessante al riguardo è quanto registrato nella zona di Amantea nella quale ha assunto un elemento di deterrente l’operazione “Uomini e caporali” del 23.06.2020 con la quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola ha eseguito 7 misure cautelari e sequestrato un’azienda agricola nei confronti di imprenditori italiani e cittadini stranieri ritenuti responsabili del reato di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo di cittadini stranieri: i lavoratori si sono riconosciuti come maggiormente protetti dal rischio di truffe da parte dei datori di lavoro e dei faccendieri (commercialisti, avvocati, ecc.) della zona.
La maggior parte della platea che ha fatto accesso al dispositivo previsto era in possesso di permessi di soggiorno per richiesta asilo in corso di validità o scaduti ormai da tempo, perché non più rinnovabili. Tale circostanza non è che il chiaro esempio del deficit rappresentato da un sistema di ingresso per lavoro su flussi preordinati che continua a non funzionare realmente e che è fortemente disconnesso dai tempi e dalle esigenze del mercato del lavoro. È anche per tali ragioni che si ricorre periodicamente alle procedure di sanatoria e alla scelta del canale della protezione internazionale come unica – da un punto di vista sostanziale – pratica di regolarizzazione.
Al 31 dicembre 2020 si può segnalare come le procedure inerenti a entrambi i “canali” dell’emersione siano molto lente: per quanto riguarda le persone in possesso del permesso di soggiorno ex art.103, 1° comma DL 34/2020, nella maggior parte dei casi, le Prefetture di riferimento ancora non hanno provveduto ad effettuare le convocazioni per la definizione delle medesime pratiche; per quanto riguarda le persone in possesso del permesso di soggiorno ex art.103, 2° comma DL 34/2020, si registrano comportamenti diversi da parte delle Questure di riferimento, in alcuni casi molto puntuali nella trattazione delle pratiche, in altri casi più lente. Le prassi adottate dalle Questure sono molto variegate anche rispetto alle documentazioni richieste per l’espletamento delle pratiche: in alcuni casi, è ritenuto sufficiente il possesso dell’attestato nominativo al fine di definire la procedura di richiesta del permesso, mentre, in altri casi, è richiesto il possesso del passaporto; in alcuni casi, è richiesta la dimostrazione della residenza in capo al migrante, mentre, in altri casi, è sufficiente l’attestazione di una dimora.
Alla luce di questa situazione, si può riconoscere nella sanatoria 2020 un’occasione mancata, un dispositivo lasciato troppo in mano ai datori di lavoro e poco caratterizzato dal soggettivismo dei lavoratori. Un dispositivo, ancora in linea purtroppo, con politiche migratorie che mostrano sempre più evidentemente il limite di ricondurre nella sostanza il diritto a vivere in modo regolarmente soggiornante delle persone migranti alle scelte individuali e opportunistiche dei loro datori di lavoro, piuttosto che a scelte che dovrebbero essere rimesse a uno Stato che dovrebbe porsi a garanzia dell’affermazione dei diritti fondamentali e universali di ogni essere umano.
Credits per la foto: Luca Gambi
Associazione COMUNITÀ Progetto Sud (Lamezia Terme)
[maggio 2021]