Continua l’esperienza del laboratorio interculturale, nato nel 2007 dalla collaborazione tra il Dipartimento di Filologia Classica dell'Università di Bologna e l'Associazione Eks&Tra. Come l’anno scorso abbiamo posto alcune domande per approfondire i contenuti a Wu Ming 2, che ne è coordinatore dal 2012.
"Movimenti giovanili. Espatri, confinamenti, globalizzazione” è il tema scelto per l'edizione 2020/2021. Puoi aiutarci a comprendere meglio le sue varie declinazioni?
Il tema del laboratorio viene sempre scelto con molti mesi d’anticipo e per questo motivo è sempre molto ampio. Per i racconti di quest’anno abbiamo scelto di concentrarci sul movimento, inteso in senso letterale e metaforico, e sugli ostacoli che possono impedirlo. Li abbiamo raccolti in sei grandi categorie, su ognuna delle quali si concentrano i racconti collettivi dei gruppi: identità, società, cultura, legge, emozioni, corpo.
I movimenti e gli espatri hanno coinvolto negli ultimi anni anche molti giovani del nostro Paese, pur trattandosi di una realtà molto diversa da quella che ha costretto a migrare milioni di italiani nel secolo scorso: anche di loro si occupa il laboratorio?
Al di là delle possibili allegorie, uno dei racconti affronta questo tema in maniera diretta. Il protagonista è un ragazzo italiano, Carlo, che vive a Londra e si fa chiamare Charlie. L’uso della lingua inglese gli crea piccoli shock culturali che lo portano pian piano a mettere in discussione la propria identità.
Già l'edizione precedente aveva risentito, nell'organizzazione dei lavori, della pandemia da Covid 19: avete avuto difficoltà in fase di iscrizione?
Abbiamo dovuto limitare il numero degli iscritti e anche il bacino di provenienza, riducendo la partecipazione degli esterni all’Università. Tutto questo per consentire al gruppo di potersi incontrare in presenza, in un’aula “omologata” per 25 persone. Ciononostante, per via delle regole da “zona rossa”, dopo un primo incontro dal vivo ci siamo dovuti trasferire in una stanza virtuale, e soltanto adesso, alla conclusione dei lavori, possiamo riprendere a frequentare l’aula prevista.
Come era composto quest'anno il gruppo dei partecipanti (età, genere, provenienza, lingua madre)?
Non ho fatto calcoli, ma l’età media credo sia intorno ai 26 anni, avendo limitato la partecipazione in modo particolare a chi frequenta l’Università. Gli over 30 mi pare siano due o tre. Anche le persone di origine straniera rientrano nella categoria: non abbiamo, purtroppo, potuto includere, come gli anni scorsi, rifugiati e richiedenti asilo. Sono circa un terzo di chi si è iscritto.
Come si è svolto il laboratorio ? Avete tenuto incontri anche in presenza?
Soltanto uno, all’inizio. Ora, per terminare i racconti, speriamo di poterne fare altri due.
Come è stato articolato un tema così vasto nelle sessioni di lavoro?
Al tema vero e proprio è dedicato il primo incontro. Abbiamo elencato i tanti significati della parola movimento e i suoi possibili usi, al di là del semplice “spostamento nello spazio”. Quindi abbiamo fatto lo stesso con gli ostacoli, individuando poi le diverse tipologie. A quel punto, i gruppi cominciano a ragionare narrativamente, cercando una storia che possa ruotare intorno a quel tema, con personaggi che lo incarnino e lo mettano in tensione.
I testi che emergeranno dal laboratorio di scrittura "collettiva" sono narrativi e in prosa o sono previste anche altre tipologie (ad es. poesia, saggio...)?
Sono tutti narrativi, perché il laboratorio - pur senza escludere altre forme - è tutto incentrato sulle tecniche e le strutture che consentono di costruire un racconto collettivo.
Quando sarà possibile vedere i risultati del vostro lavoro?
A fine maggio i racconti dovrebbero essere conclusi e se si potrà farlo, cominceremo a presentarli dal vivo, in circoli, festival e librerie, come accaduto già negli scorsi anni. A settembre, sul sito dell’associazione Eks&Tra sarà possibile scaricare gratuitamente l’ebook con l’intera raccolta.
Da diversi anni ormai coordini il laboratorio: cosa ci puoi dire della tua esperienza?
Nell’introduzione all’ultimo volume di racconti collettivi pubblicato prima della pandemia, avevo già espresso il mio stupore per la difficoltà che i gruppi hanno incontrato non tanto a scrivere insieme, quanto ad incontrarsi, a trovare tempi e luoghi per stare insieme. Inutile dire che questo aspetto si è accentuato, rendendo la scrittura collettiva una vera e propria battaglia contro un’epoca che, di collettivo, ha sempre meno. Ciononostante, ogni anno i gruppi sfornano i loro racconti, con risultati soddisfacenti, e questo non smette di sorprendermi.
La tua definizione di scrittura meticcia si è modificata, arricchita, "affinata" nel tempo, anche grazie a questo percorso?
Anno dopo anno, mi diventano sempre più chiare le difficoltà di scrivere insieme in un gruppo di persone che non si sono scelte, come invece accade per il collettivo di cui faccio parte: un “noi” ben definito che si rispecchia nella produzione di testi e di storie. Per me, quindi, scrivere a più mani è molto naturale, ma il laboratorio mi ha aiutato a capire in che modo si può facilitare questo tipo di interazione anche tra chi non ha in comune una sintonia iniziale. Con qualche accorgimento, è possibile far nascere un “noi” attraverso la scrittura.
Carla Babini
[maggio 2021]