Intervento presentato al Convegno “Storia, presente e futuro dell'Afghanistan” Ravenna, 27 novembre 2021.
Recenti vicende politico-militari hanno riportato l’attenzione sulla realtà afghana, travagliata da una storia drammaticamente tragica. Il presente contributo si sofferma sullo scenario della regione da un punto di vista della sua complessità etnolinguistica, mostrandone aspetti particolari, anche se in forma necessariamente sintetica.
Innanzitutto, in un contesto non specialistico, dobbiamo subito ricordare che la gran parte delle popolazioni stanziate nell’area afghana rientra nel novero dei popoli parlanti lingue iraniche, quindi si tratta di lingue di origine-indeuropea. In modo più banale ciò significa che tra il Dari o il Tajiko, ma anche il Pashto, e l’Inglese o il Tedesco, vi è meno differenza che rispetto all’Arabo o al Turco. Le lingue, infatti, non si classificano in base al sistema di scrittura adottato, né a seconda delle religioni praticate o in conformità alla semplice collocazione geografica attuale, ma alla luce di criteri più oggettivi di natura comparativa, e pertanto volti a classificare secondo un asse sincronico le loro reciproche strutture fonetiche, morfosintattiche e lessicografiche.
In questo senso, ricorderemo sinteticamente che, tra le lingue correntemente attestate in Afghanistan, mentre il Dari ed il Tajiko sono due varietà particolari di (Neo)-Persiano, con una propria storia ed una propria letteratura (nel caso del Tajiko si noterà anche l’uso di una speciale varietà di cirillico per la sua scrittura), la lingua Pashto[1] è la più significativamente rappresentata della famiglia iranica nella regione. Essa è attualmente parlata da 26 milioni di soggetti in Afghanistan, da 24 milioni in Pakistan, e da non meno di 2 milioni nella diaspora (Iran, India, Stati Uniti, Canada, paesi europei, Dubai, Malesia, etc.).
Quindi, è oltremodo evidente che, oltre al Neo-Persiano ed alle sue varietà regionali, essa ci appare di gran lunga come una delle più rilevanti. Purtroppo i dati statistici sono da considerarsi al ribasso,[2] perché mancano strumenti demoscopici affidabili, anche se si può presumere che i Pashtun siano perlomeno tra i 50 ed i 60 milioni nel mondo intero, per quanto non tutti siano più in grado di far uso correntemente della loro lingua tradizionale. Tale idioma si presenta comunque in due principali diramazioni dialettologiche: una occidentale o sudoccidentale, con epicentro nella regione di Kandahar, ed un’altra orientale o sudorientale con epicentro nella regione di Peshawar (Oranskij 1973: 136). Siccome lo spelling di questa importante lingua iranica può ampiamente variare da zona a zona, potremmo avere, secondo il dizionario di Morgenstierne (1927: 61), varianti come paṣ̌tō, pəxtṓ, púxtō, páxtō, pax̌tō, puštō, paštō. Per evitare confusioni, quando parleremo in modo generale della lingua, a meno che non si facciano specifiche considerazioni di natura etimologica, useremo il glottonimo “Pashto”, per il popolo l’etnonimo “Pashtun”. La medesima parola designante la lingua può indicare anche il “codice d’onore” che distingue di Pathani dagli altri, per cui “un vero Pathano è colui che possiede il “Pashto”, non chi semplicemente lo parla” (paṣ̌tūn haγa dai či paṣ̌tō larī, na haγa či paṣ̌tō wāyī), secondo un esemplare proverbio locale citato da Morgenstierne (1927: 61).
Senza entrare in ulteriori distinzioni, segnaliamo per comodità, anche se con una certa approssimazione, che, nella prima varietà, troviamo i dialetti detti paṣ̌tō, nell’altra quelli paxtō, per via di una particolare differenziazione fonetica, anche se ulteriori articolazioni sono ovviamente ben attestate. Si noti, inoltre, che esiste anche un etnonimo quale quello di Paṭhān (spesso semplificato come “Pathano,-i”), tipico delle confinanti regioni indiane dove si parlano dialetti indo-arii e che deve essere fatto derivare da una più antica forma della lingua Pashto quale *paṣ̌ṭana-. Riprenderemo in seguito la questione dell’origine del nome dei Pashtun. Non possiamo però tralasciare la comunità degli Hazāra, che rappresenta circa un quinto dell’intera popolazione dell’Afghanistan. Il loro nome deriva dalla parola persiana hazār, “mille”, a sua volta una traduzione del termine mongolo ming o minggan, designante un’unità militare di 1000 soldati nell’esercito di Genghis Khan. Gli Hazāra ormai non parlano più Mongolo, bensì una varietà di Neo-Persiano con un lessico ricco di prestiti turchi e mongoli, segno della loro origine etnica centrasiatica; con loro sono imparentati anche gli Aimaq.
Ovviamente, ci sono altre minoranze linguistiche, quali quella dei Balochi, che è propriamente iranica. Si ricordano, inoltre, Turkmeni e Uzbechi, che insieme ai Kirghisi (dal numero però più esiguo), costituiscono il gruppo linguistico turcico dell’Afghanistan; troviamo ancora i Brahui, che addirittura appartengono alla famiglia dravidica, nonché i popoli parlanti dialetti Nuristani, che perlopiù sono indo-arii. Come si potrà notare. la ricchezza etno-linguistica di questo territorio è straordinaria, anche se spesso tale eterogeneità si è tramutata in concorrenza e antagonismo.
Torniamo, però, ai due etnonimi più diffusi in questa regione, per vederne meglio la loro storia. Partiamo, perciò, da alcune osservazioni di base: quali sono le origini e le implicazioni di termini etnici quali “Afghan” e Pashtun? Come è stato ben rilevato da Jonny Cheung (2017), il primo etnonimo rimanda ad una designazione di origine geografica, il secondo presenta, invece, maggiori implicazioni etno-culturali. Infatti, diversi documenti battriani (quindi in una lingua medio-iranica), già intorno al IV secolo DC., menzionano il termine αβαγανο (abagano), la cui esistenza è ulteriormente confermata dalla testimonianza di un celebre astronomo indiano del VI secolo, Varāhamihira, il quale usa l’etnonimo Avagāṇa-. Di tale denominazione si ha un ulteriore riscontro nelle fonti cinesi, ove troviamo 阿薄健*ʔa-bak-gianh/*ʔa-phakken, espressamente citato dallo studioso buddhista Xuanzang nel 629 dC. Gli “Afghani” sono ulteriormente menzionati come tali nel secolo XI, ad esempio, dal famosissimo al-Bīrūnī.
Le fonti si riferiscono in generale a tale popolo come ad una nazione fiera, bellicosa e indomita, spesso ribelle. Il loro nome è verisimilmente iranico, ma non si può spiegare a partire dalla lingua dei Pashtun, bensì dal termine battriano αβαγανο, che possiamo infatti analizzare come un composto *apāka-āna-, il cui significato sarebbe approssimativamente quello di popolo “che sta alle spalle”, lett. “di dietro (a noi)”. Si tratta precisamente di un derivato di *apāka-, “che sta dietro” (più l’aggiunta di -āna-, un suffisso di appartenenza, designante anche una identità etnica). Tale *apāka-, a sua volta, sarebbe il frutto di una neoformazione derivante dallo strumentale singolare del tema *apānč-, “che sta dietro”, costruito sulla preposizione apa, “da”. Questa forma antico-iranica avrebbe prodotto, attraverso un processo di sonorizzazione consonantica, il battriano αβαγανο, che starebbe alla base anche del neopersiano afġān, in cui si noterà la regolare fricativizzazione della -β- intervocalica (forse già pronunciata -w-), che passa a -f-. Quindi, si tratterebbe di un etero-etnonimo rivolto agli Afghani, dato dai vicini Battriani. Notiamo mancora che una volta entrato nella lessicografia geografico sia l’etnico Afghano, sia il toponimo Afghanistan, non si riferiscono più, come in origine, ai soli abitanti Pashtun, ma a tutte le popolazioni del medesimo territorio. Pertanto, anche la definizione della lingua dei Pashtun come afghano, in passato talora impiegata, è oggi evitata, perché foriera di inevitabili confusioni.
Un po’ più complessa appare, invece, l’interpretazione dell’etnonimo Pashtun e del nome della lingua. L’etnico si presenta precisamente come Pax́tūn o Paṣ̌tūn, al plurale come Paṣ̌tāna. La prima forma, Pax́tūn, è recenziore e quindi non si giustificherebbe l’ipotesi di una relazione diretta con il popolo erodoteo dei Πάκτυες (7,69,2; 7,68), a meno che non si ritenga che il gruppo -κτ- dell’etnonimo greco sia un riflesso approssimativo di una sequenza fonetica sconosciuta a tale lingua (Humbach – Faiss 2012: 60). La forma più conservativa, Paṣ̌tūn, si spiega, invece, agevolmente come una derivazione da un più antico *Paštān o meglio da *Parštān. In effetti, grazie a Paul Tedesco e Gerge Morgenstierne noi sappiamo che in proto-pashto rs è passato a št. Classica, quindi, la derivazione, ribadita dallo stesso Morgenstierne (1927: 61; 1940: 141-143; 1982; 2003: 67), del nome della lingua paṣ̌tō da un aggettivo antico-iranico *parsawā-, ovviamente femminile. L’etnico Paṣ̌tūn si fa risalire a *pars(u)wana- oppure a *parsa/u- + il suffisso -ā̆w-. Il tema originario si sarebbe allora presentato come *parswāna-. In questo come negli altri casi la formazione di base, *parsu-, potrebbe risultare addirittura la stessa di quella ricostruita anche per l’etnonimo designante gli stessi “Persiani” (cfr. anche il vedico parśu-, nome di un personaggio, forse di origine iranica, nonché il pl. pārśavaḥ, termine per indicare una tribù guerriera). Per parte sua, la denominazione dei “Persiani”, in antico persiano Pārsa-, ha ricevuto innumerevoli ipotesi interpretative, che non possono essere analizzate in dettaglio in questa sede, anche se possiamo almeno segnalare la plausibilità di una derivazione da un proto-indo-iranico *pārćwa-, quindi da una formazione con vr̻ddhi (“accrescimento”) del già citato vedico párśu-, ma anche dell’avestico pərəsu-. Entrambe questi nomi significano “costola, lato, fianco”.
Tornando alle origini dei Pashtun, già Joseph Markwart (1905: 177-178) che aveva a grandi linee anticipato questa soluzione, suggeriva, inoltre, l’identificazione col popolo dei Parsiētai (Παρσιῆται),[3] menzionati da Tolemeo (6.18.3-4; Humbach – Ziegler 1998: 224-225), nonché l’associazione più o meno diretta con una tribù di invasori dell’area afghana, citati da Strabone (Geografia 11.8.2) due secoli prima, come Pasianoi (Πασιανοί). Costoro potrebbe essere effettivamente considerati come gli antenati dei moderni Pashtun. Diversi elementi linguistici asseverano, secondo Cheung, tale conclusione, a partire dal fatto che la lingua Pashto presenta molteplici isoglosse differenziali in comune con altre lingue iranico-orientali come l’attuale Ossetico o il Khotanese, ma talora, anche con il Sogdiano ed il Coresmio. La tribù da cui derivano i moderni Pashtun deve essere appartenuta ad una confederazione di Saka, arrivata nella regione battriana attorno al II sec. a.C.
Come si può notare da queste annotazioni, siamo in presenza di un contesto che solo l’ignoranza potrebbe definire senza storia e senza cultura, e che risulta di per se stesso protagonista delle grandi vicende della terra sin da epoche remote. Per tale ragione, esso era ben noto anche nelle fonti classiche più antiche e prestigiose, sebbene di rado a scuola ce lo abbiano raccontato. Ovviamente, tutto ciò non aiuta a risolvere i drammi odierni, ma ci ricorda che l’Afghanistan fa parte di uno scenario geo-culturale straordinariamente significativo e prezioso, la cui progressiva distruzione impoverirà ancor più la nostra storia, dopo aver mortificato la nostra coscienza.
[1] Si precisa che in Pashto, i temi in –o sono feminili, come appunto il nome della “lingua” (zheba), mentre quelli in –u sono maschili.
[2] Ringrazio per queste precisazioni sull’attuale numero dei parlanti il Dr. Matteo De Chiara, INalCO, Parigi.
[3] Dobbiamo altresì segnalare che ogni tentativo di identificare la tau (τ) presente nella terminazione in -ται (-tai) del nome dei Παρσιῆται con l’occlusiva dentale -t- presente in Paṣ̌tūn (come ad esempio credeva Markwart) è impossibile, perché essa si è prodotta solo a partire dal gruppo rs (vedi Morgenstierne 1940: 142).
Riferimenti bibliografici
J. Cheung (2017) On the Origin of the Terms “Afghan” & “Pashtun” (Again). In Studia Philologica Iranica Gherardo Gnoli Memorial Volume, ed. by E. Morano, E. Provasi and A.V. Rossi, Roma, pp. 31-50.
H. Humbach – Kl. Faiss (2012) Herodotus’ Scythians and Ptolemy’s Central Asia. Semasiological and Onomaisological Studies, Wiesbaden.
H. Humbach – S. Ziegler (1998) Ptolemy, Geography, Book 6. Middle east, Central and North Asia, China, Wiesbaden.
J. Markwart (1905) Untersuchungen zur Geschichte von Eran, Philologus (Suppl.) X, 1. Göttingen and Leipzig.
G. Morgenstierne (1927) An Etymological Vocabulary of Pashto, Oslo.
G. Morgenstierne (1940) “Pashto”, “Pathan” and the Treatment of r + Sibilant in Pashto”, Acta Orientalia 18, pp. 138-144.
G. Morgenstierne (1982) “Afghanistan vi. Paṣ̌tō,” in Encyclopaedia Iranica, Online Edition, available at http://www.iranicaonline.org/articles/afghanistan-vi-pasto
G. Morgenstierne (2003) A New Etymological Vocabulary of Pashto, compiled and edited by J. Elfenbein, D. N. MacKenzie, N. Sims-Williams, Wiesbaden.
I.M. Oranskij, Le lingue iraniche. Edizione italiana a cura di A.V. Rossi, Napoli 1973.
Antonio Clemente Domenico Panaino
[dicembre 2021]
Professore ordinario di Filologia, Storia e Religioni dell'Iran presso il Dipartimento di Beni Culturali di Ravenna.
Specialista di filologia, linguistica e storia politico-religiosa dell'Iran preislamico.
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