La storia che mi lega in modo profondo e affettivo al popolo Saharawi proviene dalla mia lunga esperienza di lavoro in Cgil e risale agli anni '90, ad un’ampia progettazione patrocinata dalla regione Emilia Romagna che coinvolge il servizio sanitario, il comune di Ravenna e il sindacato come partner.
In questi anni è stato possibile, grazie al prezioso supporto di medici che hanno effettuato in loco screening sulla popolazione scolastica, mettendo in campo azioni di sensibilizzazione sulla salute, prevenzione e di identificazione di patologie croniche realizzare con l'obiettivo "Salute Saharawi" prevenzione, assistenza e tutela della salute pediatrica e riproduttiva nei campi profughi. La Confederazione di Ravenna, unitamente all'amministrazione comunale, hanno sostenuto in modo pratico e concreto la costituzione di una sartoria in loco inviando, oltre ai macchinari e materiale, fisicamente una "sarta" volontaria dello Spi/Cgil per insegnare alle donne a utilizzare in autonomia le macchine da cucire. Successivamente sono stati ancora inviati fondi raccolti in memoria di un compagno della Cgil Sauro Mantellini per la costruzione di una falegnameria. Poi si sono avviati progetti di sostegno al materno infantile con ostetriche che sono venute all'ospedale di Lugo per approfondire alcune pratiche relative al parto.
Mi ha sempre più incuriosito, affascinato e angosciato la storia di questo popolo, sottoposto da oltre un secolo a occupazioni illegittime del suo territorio. I Sahrawi oggi vivono dispersi e divisi tra i territori occupati dal Marocco, o nomadi nei territori liberati, mentre la parte più numerosa è stata costretta ad abbandonare la propria terra rifugiandosi nei campi profughi nel deserto algerino. Si calcola siano duecentomila i Sahrawi residenti nei campi profughi vicino a Tindouf, nell’estremo sud-ovest dell’Algeria.
Nel 2014 quando sono entrata in Auser ho conosciuto l'associazione "Kabara Lagdaf" di Modena, che è nata con lo scopo di fare conoscere la situazione del popolo Saharawi, esiliato dal 1975 nel deserto, di portare sostegno alle persone che vivono in condizioni molto dure e di sostenere il Piano di Pace dell'ONU per l'autodeterminazione del Sahara Occidentale. L'associazione prende il nome da una bambina Saharawi prematuramente scomparsa, nonostante le cure ricevute nei centri ospedalieri di Modena. Il loro progetto comprende anche l'accoglienza di 25/30 minori ogni anno nel periodo estivo (fascia di età dai 7 ai 10 anni), provenienti dai campi profughi. Lì si vive in una condizione di emergenza continua, la totalità delle forniture alimentari, logistiche e sanitarie provengono dalle organizzazioni internazionali di aiuto umanitario e dai singoli governi a causa delle durissime condizioni climatiche ed ambientali che caratterizzano il territorio. Manca l'acqua e il clima è molto arido; purtroppo in questi ultimi anni la crisi economica che ha colpito Italia e Spagna, che sono i Paesi in cui sono maggiormente presenti associazioni di solidarietà con il popolo Saharawi, ha reso ancora più difficile la situazione. L'accoglienza dei volontari di Kabara Lagdaf è finalizzata soprattutto alle cure, in quanto i bimbi sono malati di calcolosi renale e di celiachia e vengono presi in carico dai centri ospedalieri dell'Emilia. Nel 2015 abbiamo avviato un percorso di accoglienza dei bimbi anche al mare da noi. Gli ultimi dieci giorni della loro permanenza, dopo avere svolto tutti i controlli e le cure, sono venuti al mare nei nostri centri. Li abbiamo ospitati a Lido Adriano e a Casal Borsetti. Grazie ai preziosi volontari Auser i bimbi hanno condiviso come in una grande famiglia tutto il tempo; il mare li ha affascinati fin da quando l'hanno visto per la prima volta così grande, le conchiglie, gli animali e... il verde! Un bimbo ci ha detto che gli piacevano tanto gli alberi, i prati, il verde... hanno imparato a cantare in dialetto romagnolo, a mangiare patatine e gelato.
Nel 2017 con Daniela Gatta del dipartimento politiche internazionali del Comune di Ravenna mi sono recata ai campi, nelle tende, e mi sono calata ancora di più nella loro storia; la loro causa è diventata anche la mia. E' stato un impatto molto forte, mi ha colpito in modo particolare il modello organizzativo, la dignità e la fermezza con cui difendono la propria causa lottando da oltre trent’anni per non essere isolati; per istruirsi, lavorare, crescere anche nell’esilio come popolo e come individui.
I campi profughi sahrawi costituiscono un’eccezione: prima di tutto sono autogestiti; in secondo luogo questa autogestione è in mano alle donne, che si sono ritrovate sin dall’inizio a gestire l’intera organizzazione dei campi, quando gli uomini erano impegnati al fronte. Le donne parlano in pubblico, stringono le mani, accolgono nella loro tenda gli stranieri. Gli accampamenti sono quattro, distanti fra loro per motivi di sicurezza: si temeva infatti nei primi tempi un’incursione aerea marocchina, e poi erano presenti seri rischi di epidemie. La zona che venne data dall’Algeria alla popolazione in fuga è l’hammada (deserto) algerino, tra Tindouf ed il confine con la Mauritania. Una delle maledizioni più temute dalle genti del deserto significativamente recita: “Che Dio ti mandi nella hammada!” Questo luogo infatti è un deserto piatto e pietroso, freddo d’inverno e soffocante d’estate (le temperature arrivano ai 45°-50° in estate per scendere poi in inverno a –5°), spesso battuto dall’erih, un vento molto forte che riempie gli occhi e la bocca di sabbia.
Ogni accampamento (wilaya) ha il nome di una città del Sahara Occidentale per evidenziare il legame con la terra lasciata. Gli accampamenti si chiamano quindi: Smara, Dakhla, El Ayoun e Ausèrd. Ogni accampamento (wilaya) è diviso in sei-otto province (dairas), a loro volta suddivise in quartieri (barrios). In ogni daira sono presenti Comitati popolari di base per i settori chiave: educazione, sanità, giustizia, approvvigionamento alimentare, artigianato.
Ogni daira ha un dispensario con le medicine e ogni wilaya un ospedale con un laboratorio di analisi e un reparto di ostetricia-ginecologia. Le vaccinazioni sono obbligatorie e se ci sono casi gravi vengono mandati all’ospedale nazionale di Algeri. In ogni daira ci sono asili nido e scuole elementari a classi miste, affiancati da scuole speciali per bambini disabili con personale sahrawi specializzatosi all’estero. Con il tempo sono state stipulate convenzioni con diversi Stati, oggi sono tantissimi i giovani Sahrawi che prendono una laurea all’estero, soprattutto in Spagna, Italia, Algeria, Libia e a Cuba.
Da più di trent’anni, il Sahara Occidentale rappresenta il terreno di una grave crisi internazionale, sulla quale pesano gli interessi delle grandi potenze occidentali che, per motivi economici, strategici, di sicurezza e di contenimento violento dell’immigrazione, antepongono una solida partnership con il Marocco all’autodeterminazione del Popolo Saharawi. I Saharawi hanno dimostrato di essere un popolo pacifico, anche se in grado di sviluppare una potente azione di resistenza all’occupazione, e di preferire una via pacifica e di mediazione internazionale. Il loro pacifismo, il rispetto delle risoluzioni dell’ONU, il tentativo non solo di sopravvivere nel e al deserto algerino, ma anche di creare una società funzionale ed evoluta, non ingenerano timori di destabilizzazione in Occidente. Per questo motivo, né i governi, né i media europei si interessano di questa grave crisi internazionale irrisolta. L’Unione europea e l’ONU riforniscono di alimenti i rifugiati nelle tendopoli nel Sahara, ma allo stesso tempo sottoscrivono trattati con il Marocco e, soprattutto, un accordo di pesca che, includendo le acque territoriali del Sahara Occidentale, indirettamente e illegittimamente riconoscono la sovranità marocchina sui territori occupati. Gli stati membri continuano lucrosi affari con il Marocco e la stampa tace, ritenendo evidentemente poco appetibile l’informazione su di una crisi che è, quindi, letteralmente abbandonata al silenzio.
Quella del popolo Saharawi è una causa giusta di legittimazione, ma ad oggi il referendum non si è ancora potuto svolgere, causa i continui rinvii del Marocco e causa le dimenticanze dei nostri governi europei. Purtroppo la pandemia da Covid ci ha per qualche tempo separato e abbiamo dovuto sospendere l'accoglienza, quest'anno i bambini sono venuti per breve periodo a Modena e solo per un giorno da noi al mare, ma siamo impegnati a riprendere l’accoglienza il prossimo anno. Non abbiamo mai smesso di sostenere il progetto attraverso l'aquisto di cioccolato a Natale e le uova di Pasqua i cui fondi servono per finanziare i costi dei viaggi aerei.
Mirella Rossi, presidente Auser provincia di Ravenna
[settembre 2023]
Mirella Rossi, ancora oggi socia della Cooperativa CAB-Terra di Piangipane, dal 1987 ha iniziato la sua esperienza come funzionaria in Cgil di Ravenna, prima alla Federbraccianti poi alla Flai, quindi, dal 2007, in qualità di responsabile del dipartimento immigrazione del sindacato.