Occhio ai media!


“Si suppone che l’Italiano sia un grande criminale. È un grande criminale... Il criminale italiano è una persona tesa, eccitabile, è di temperamento agitato quando è sobrio e ubriaco furioso dopo un paio di bicchieri. Quando è ubriaco arriva lo stiletto... Di regola i criminali italiani non sono ladri o rapinatori - sono accoltellatori e assassini”. È in questi termini che il prestigioso “The New York Times” raccontava degli italiani nel 1909, così come citato nel famoso libro L’orda di Gian Antonio Stella. Si può ben immaginare con quale sentimento si potesse accostare un americano ai nostri compatrioti leggendo i giornali dell’epoca.

Ammesso che tali descrizioni potessero essere fondate su alcuni fatti di cronaca, era proprio così la maggior parte degli italiani? Il libro di Stella è sottotitolato “quando gli albanesi eravamo noi”. Sottotitolo significativo, che sta a indicare non solo una comunanza di esperienze migratorie fra i due popoli, ma purtroppo anche un'accoglienza che non si è dimostrata molto dissimile. Nel marzo del ’97, dopo il crollo del governo Berisha, in un contesto economico spaventoso, navi cariche di albanesi si spinsero verso le coste italiane. Il mondo politico, incapace di gestire la situazione, si spaventò, una paura a cui i giornali offrirono un’eco straordinaria: “L’invasione dei disperati” (“La Repubblica”, 15 marzo), “Massima allerta contro il rischio di un’invasione criminale” (“Corriere della sera”, 18 marzo), “Sei anni fa sbarcarono famiglie alla fame, oggi sbandati con tanto di telefonino” (“Il Giornale”, 19 marzo). Si può ben immaginare il sentimento che si sviluppò in Italia nei confronti della popolazione albanese, intesa come categoria, alla lettura dei giornali dell’epoca. 

La paura nei confronti del “diverso”, la difesa di quanto si pensava di possedere, il giudizio e il comportamento basati su stereotipi sono tutti aspetti che possono essere anche considerati naturali nell’essere umano, ma sono anche aspetti che in una democrazia moderna devono essere contrastati, semplicemente tramite l’analisi dei fatti, tramite la decostruzione degli stessi stereotipi. Questo compito spetta anche alla politica e all’informazione. Che invece troppo spesso cavalcano (quando non generano) l’onda emotiva dominante. I media hanno il grande potere di trasformare una risorsa simbolica e considerazioni soggettive stereotipate in definizioni oggettive. I media hanno la capacità di generare mostri, che vengono scolpiti nell’immaginario collettivo: l’assedio degli albanesi, l’invasione di criminali. In breve il gioco è fatto: albanese = minaccia. E questo è valso, di volta in volta, per i capri espiatori di turno: i magrebini, gli zingari, i rumeni, i musulmani, questi ultimi percepiti come pericolosi terroristi. O per non escludere nessuno: i profughi, che percepiscono trenta euro al giorno, gli extracomunitari o i clandestini tutti. Naturalmente il problema risiede proprio nella categoria dei “tutti”. L’albanese, il musulmano o il profugo non viene giudicato per le sue azioni, in quanto persona, ma in quanto appartenente a una categoria, una categoria dei “loro”, contrapposta al “noi”, con caratteristiche immutabili. Da qui nasce il razzismo, come pensiero e come comportamento, e la responsabilità di chi incide così tanto sull’immaginario collettivo è enorme. Considerato che il processo migratorio in Italia ha raggiunto la maggiore età da un pezzo, i toni dei giornali da qualche anno sono diventati meno allarmistici. Ma sui danni prodotti e sull’etica giornalistica si è ragionato troppo poco. 

Si è ragionato troppo poco sui termini utilizzati, su quello che si sceglie di dire e di non dire, su quanto si amplificano episodi che se commessi da uno di “noi” non farebbero notizia. Con il libro "Tracce migranti - nuovi paesaggi umani" e con il presente sito cerchiamo di dare alle persone che ci leggono, o che guardano le nostre fotografie o i nostri disegni, uno strumento per ragionare su un fenomeno complesso che investe la società totalmente. Restituendo la soggettività alle persone. Partendo dal fatto che le categorie, come quella della cultura, sono un qualcosa di imposto da altri, dalla maggioranza dominante. Le persone di ogni luogo hanno un’identità plurima, una cultura fatta di tradizioni, religione, lingua, orientamenti politici, gusti sessuali, culinari, musicali, letterari, ognuna diversa dall’altra. L’italiano cattolico Alex Zanotelli è più simile all’altro italiano cattolico Simone Pillon o a un qualsiasi musulmano del Marocco militante di sinistra? Dove sono i veri confini e dove invece quelli che vengono imposti? Gli “extracomunitari” e i clandestini esistono perché noi italiani, con le nostri leggi, vogliamo che esistano.

Francesco Bernabini

[15 dicembre 2019]


Dopo la laurea in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Bologna, frequenta nel 2001 il Master sull’Immigrazione dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha lavorato per 18 anni nel campo dell’immigrazione. Nel settore legale amministrativo è stato operatore del Centro per immigrati del Comune di Ravenna, così come consulente legale del progetto Sprar sempre del Comune di Ravenna. Spostandosi nel campo culturale ha lavorato nell’organizzazione del Festival delle Culture della medesima città e ha curato il ciclo di incontri con scrittori mi- granti ‘Parole Erranti’, insieme allo scrittore di origine algerina Tahar Lamri. Nell’ambito della comunicazione è tra i fondatori della rivista interculturale ‘Città Meticcia’ di cui ha coordinato la redazione insieme alla giornalista Federica Angelini. Nel 2013 – 2014 ha collaborato con Unhcr a un progetto di ricerca sul tema dell’integrazione dei rifugiati.


Consiglio sitografico

www.occhioaimedia.org. Occhio ai media è un importante osservatorio sul linguaggio nei media promosso dall'associazione Cittadini del Mondo di Ferrara, composta da immigrati di prima e seconda generazione e italiani, nata dalla collaborazione con l'Associazione Carta di Roma.


Nota

Il presente articolo è una versione aggioranta di un precedente scritto pubblicato dalla fanzine Rovistando dell'associazione degli studenti universitari di Ravenna nel 2007.