Il 23 aprile 1993 a San Louis (Arizona) moriva César Estrada Chávez, padre del sindacalismo nonviolento negli Stati Uniti. La sua vita fu interamente dedicata ai diritti e alle battaglie dei campesinos itinerantes, i contadini che passavano in Arizona dal confinante Messico, alla disperata ricerca di migliori condizioni di vita che il loro Paese non poteva offrire loro in alcun modo.
Estrada Chávez sfidò i proprietari terrieri, i sindacati gialli e la mafia americana pur di difendere i campesinos: fu vittima di numerosi attentati, a cui riuscì sempre a sfuggire, insieme a contadini che temevano di perdere il lavoro o di essere deportati a causa delle loro proteste. César Estrada Chávez può essere annoverato senza dubbio fra i militanti di primo piano nella lotta per la terra e per i diritti del mondo del lavoro. La memoria del suo impegno sociale non è stata scalfita nel corso degli anni. Pochi mesi dopo la sua morte, dovuta a un cancro, gli amici e la famiglia costituirono la Fondazione César E. Chávez allo scopo di sensibilizzare la società civile sul lavoro di uno dei più grandi sindacalisti degli Stati Uniti. Borse di studio e programmi educativi dedicati alla nonviolenza rappresentano due tra le maggiori attività condotte dalla Fondazione. Inoltre il 31 marzo del 2002, in corrispondenza della sua data di nascita, avvenuta il 31 marzo 1927, fu celebrato per la prima volta negli Stati Uniti el Día de César Estrada Chávez, a cui parteciparono, in larga maggioranza, gli ispanoamericani. In quell’occasione lavoratori e studenti, attivisti nelle aree urbane e rurali, dettero vita a iniziative di protesta nonviolenta e ad azioni volte a migliorare la vita nelle comunità contadine. La convinzione di Estrada Chávez che le mobilitazioni per i diritti sociali dovessero essere nonviolente – nel senso gandhiano – fu tale da convincere gli sfruttati nelle mani di proprietari terrieri senza scrupoli a organizzare scioperi ai quali non si presentavano più armati di sassi e bastoni: del resto lui stesso era sopravvissuto a lunghi quanto impegnativi digiuni di protesta. Al tempo stesso, Cesar non intendeva la nonviolenza come semplice precetto moralistico: “Noi non siano nonviolenti perché vogliamo salvare le nostre anime, ma perché vogliamo ottenere la giustizia sociale per gli operai”. Lo stesso Estrada Chávez sapeva bene cosa volesse dire lavorare nelle campagne. Nel 1939, quando si trasferì in Californa insieme alla sua famiglia, abitava in un quartiere il cui nome era più che significativo: Sal Si Puedes, in inglese Get Out If You Can. Estrada Chávez conobbe l’esclusione razzista sulla sua pelle: in molte scuole la lingua spagnola era proibita a vantaggio dell’inglese, in altre c’era scritto esplicitamente che erano solo per i bianchi. Cesar provò cosa significassero ingiustizia e sfruttamento: nel 1962 fondò l’organizzazione sindacale Asociación Nacional de Campesinos, che poi divenne Los Campesinos Unidos (United Farmer Work). Riuscì a organizzare politicamente i campesinos, fece comprendere loro le cause alla base dello sfruttamento e riuscì a trarre dei successi dalle proteste nonviolente, consistenti in scioperi, picchetti, boicottaggi, digiuni: il più lungo sciopero della fame, El Ayuno para la Vida, durò 36 giorni, per concludersi il 21 agosto 1988. “Il digiuno rappresenta un atto di purificazione e rafforzamento per me e per tutti coloro che lavorano insieme al movimento contadino, ma al tempo stesso è un’azione che dichiara l’indisponibilità a collaborare con la controparte” amava ripetere Cesar. Il cardinale Roger Mahoney, che celebrò l’orazione funebre per Estrada Chávez, lo descrisse come “un profeta speciale per i contadini di tutto il mondo”: ai suoi funerali parteciparono almeno cinquantamila persone, che scortarono il feretro fino alla sede del sindacato.
Arturo Rodríguez, il successore alla guida del sindacato alla morte di Estrada Chávez, lo salutò dicendo che Cesar viveva nei cuori di tutti i contadini organizzati degli Stati Uniti impegnati per il cambio sociale, mentre i campesinos giurarono che “avrebbero piantato il suo cuore come un seme di cui avrebbero raccolto le messi in memoria”.
Davide Lifodi
Articolo pubblicato per la prima volta il 22 Aprile 2013 su La bottega del Barbieri.