Il 30 gennaio 1948 Gandhi moriva assassinato. Non aveva partecipato ai festeggiamenti per l’indipendenza indiana, dopo averla conquistata con il satyagraha (la forza della verità o nonviolenza) perché la separazione fra India e Pakistan era per lui una grande sconfitta. È stato assassinato da un fanatico indù che non gli aveva perdonato la sua azione per la riconciliazione religiosa e la sua apertura ai musulmani. L’indù Gandhi (che aveva una sconfinata ammirazione per Gesù Cristo e per San Francesco d’Assisi) fu considerato dai fondamentalisti di entrambe le parti come un traditore. Sono passati cinquantacinque anni e il fondamentalismo religioso è ancora un pesante ostacolo per tanti processi di pacifica convivenza.
Dunque, non si può parlare di Gandhi senza riferirsi alla sua esperienza e alla sua definizione di religione: «È l’elemento permanente della natura umana; non ritiene nessun sacrificio troppo grave per trovare piene espressione e lascia l’anima totalmente inquieta fino a che non ha trovato se stessa, conosciuto il suo Creatore e sperimentato la vera corrispondenza fra il creatore e se stessa». E poi prosegue: «Per me Dio è verità e amore; Dio è etica e morale; Dio è coraggio. Dio è la fonte della luce e della vita e tuttavia è di sopra e di là di tutto questo. Dio è coscienza. È perfino l’ateismo dell’ateo. Trascende la parola e la ragione. È un Dio personale per coloro che hanno bisogno della sua presenza personale. È incarnato per coloro che hanno bisogno del suo contatto. È la più pura essenza. È, semplicemente, per coloro che hanno fede. È tutte le cose per tutti gli uomini. È in noi e tuttavia al di sopra e aldilà di noi…».
Siamo in presenza di una religione aperta, libera, accogliente, amorevole, umana. La religione di Gandhi coincide con la ricerca della Verità, perché Dio stesso è Verità, e la Verità è Dio. In questo senso per Gandhi, e per molti amici della nonviolenza, ogni problema che si pone, ogni questione che si deve affrontare, politica, sociale, economica, etica, collettiva o personale, è una sfida religiosa: «per me ciascuna attività, anche la più modesta, è guidata da quella che io considero la mia religione… la mia attività politica, come tutte le altre mie attività, procede dalla religione… perciò anche nella politica dobbiamo stabilire il regno dei cieli». Tuttavia in Gandhi c’è posto anche per una piena laicità. Ha saputo essere, insieme, un grande religioso e una grande statista: «se fossi un dittatore, religione e Stato sarebbero separati. Credo ciecamente nella mia religione. Voglio morire per essa. Ma è una mia faccenda personale. Lo Stato non c’entra. Lo Stato dovrebbe preoccuparsi del benessere temporale, dell’igiene, delle comunicazioni, delle relazioni con l’estero, della circolazione monetaria e così via, ma non della vostra o mia religione. Questa è affare personale di ciascuno».
Oggi nel mondo intero Gandhi è considerato il profeta della nonviolenza, ma il rischio è quello di farne un santo, un eroe, un simbolo, un mito. Gandhi, invece, nel corso di tutta la sua azione sociale e politica si è sempre sforzato di far capire che ciò che lui ha fatto poteva farlo chiunque altro, che «la verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne». La novità emersa con Gandhi consiste nell’aver saputo trasformare le nonviolenza da fatto personale ad azione collettiva, da scelta di coscienza a strumento politico: con Gandhi la nonviolenza non è più solo un mezzo per salvarsi l’anima, ma diventa un modo per salvare la società. La nonviolenza è sempre esistita, presente in tutte le culture e in tutte le religioni, in Oriente e in Occidente, nei sacri testi della Bibbia e del Corano, della Bhagavad Gita e del buddhismo. Ma è con Gandhi che la nonviolenza diventa un’arma di straordinaria potenza per liberare le masse oppresse. Il Mahatma ci ha fatto scoprire che la nonviolenza è insieme un fine e un mezzo, che per abbracciare e farsi abbracciare dal satyagraha ci vuole fede, pazienza, sacrificio, dedizione, addestramento. Grazie a lui oggi possiamo utilizzare la teoria e la pratica della nonviolenza per tante battaglie di giustizia e libertà, in ogni parte del mondo.
Gandhi è stato un grande innovatore, ha riscattato il ventesimo secolo che altrimenti sarebbe stato consegnato alla storia come un secolo buio, per gli orrori delle guerre mondiali e per l’olocausto nei campi di sterminio. Gandhi, e non Hitler e non Stalin, è l’uomo nuovo del ‘900, la preziosa eredità per questo secolo. La lezione di Gandhi ha suscitato molti proselitismi, in ogni parte del mondo. Dal Sudafrica al Chiapas, dalla Birmania al Tibet, così come in Europa e in America Latina, ovunque vi sono gruppi o popoli che lottano per i loro diritti ispirandosi alla forza attiva del satyagraha.
«Se posso dirlo senza arroganza e con la dovuta umiltà, il mio messaggio e i miei metodi sono validi, nella loro essenza, per il mondo intero; ed è motivo di viva soddisfazione per me sapere che hanno già suscitato mirabile rispondenza nel cuore di un grande e sempre crescente numero di uomini e donne dell’Occidente».
Oggi infatti, in Europa e negli Stati Uniti, non si può parlare di pacifismo senza fare i conti con la nonviolenza gandhiana. La mobilitazione mondiale contro la guerra (intendo contro tutte le guerre, fatte da chiunque per qualsiasi motivo e con qualunque arma) è coerente e vincente solo se fatta con i mezzi della nonviolenza. «La guerra è il più grande crimine contro l’umanità». Gandhi condanna il ricorso alla guerra senza appello. Il movimento contro la guerra, se vuole avere un futuro e non essere solo un fuoco di paglia che si spegne alla prima pioggia di bombe, deve saper adottare tutti i metodi rigorosi della nonviolenza. È ancora Gandhi a parlar chiaro: «Si dice: i mezzi in fin dei conti sono mezzi. Io dico: i mezzi in fin dei conti sono tutto». Il mondo è solo all’inizio dell’esplorazione delle potenzialità della nonviolenza e noi crediamo che essa sia una prospettiva indispensabile per il futuro dell’umanità.
Mao Valpiana
Articolo tratto da www.labottegadelbarbieri.org
Mao Valpiana è nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come giornalista. È presidente nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile “Azione nonviolenta”, fondata nel 1964 da Aldo Capitini.